Colesterolo e rischio cardiovascolare
Articolo aggiornato il 10 novembre 2025
COLESTEROLO E RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Riprendiamo a grande richiesta un argomento (vedi articolo precedente) che sta molto “a cuore” (è proprio il caso di dirlo!) a tanti lettori, per approfondire alcuni aspetti fondamentali relativi al colesterolo e al rischio cardiovascolare. Il termine "colesterolo", insieme ad altri termini correlati e, tra questi, in particolare quello di “ipercolesterolemia”, sono diventati negli ultimi anni sempre più sinonimo di pericolo e di rischio, soprattutto in ambito di salute cardiovascolare; ma l’argomento, come spesso capita soprattutto in ambito medico, è molto più complesso in realtà.
Quando si parla di ipercolesterolemia, per esempio, l’attenzione è puntata quasi esclusivamente sui valori ematici di colesterolo totale che diventano pericolosi oltre una determinata soglia, ovvero si prende in considerazione solo un mero valore “numerico” che, peraltro, col passare degli anni è stato via via ridotto: ad oggi (e non si escludono ulteriori ribassi!) il livello massimo auspicato è di 200 mg/dL, con un abbassamento repentino che, in pratica, ha fatto entrare da un giorno all’altro, migliaia di persone nella categoria di “persone che necessitano di una cura”.
Tale limitata visione fa perdere completamente di vista il significato più ampio e complesso della condizione di ipercolesterolemia: si tratta, infatti, di un vero e proprio squilibrio del metabolismo e del trasporto del colesterolo, con accumuli indesiderati, che potrebbero avere ripercussioni sull’organismo umano.
Parlando invece di colesterolo e lipoproteine, abbiamo già avuto modo di vedere che le HDL (High-Density Lipoprotein), il cosiddetto “colesterolo buono” e le LDL (Low-Density Lipoprotein) il cosiddetto “colesterolo cattivo” sono impropriamente considerate come “colesterolo”, mentre in realtà sono parte di quest’ultimo e trasportano i lipidi nel sangue: il colesterolo è lo stesso, a prescindere dai “veicoli” che lo trasportano (le lipoproteine, appunto). Le lipoproteine svolgono funzioni profondamente differenti e, al contempo, basilari per l’organismo umano:
- le HDL rimuovono il colesterolo in eccesso dai tessuti e lo riportano al fegato, dove viene smaltito ed eliminato attraverso la bile; nel loro processo di “pulizia” dell’organismo, aumentano di dimensione man mano che raccolgono il colesterolo non più necessario nei vari distretti del corpo umano;
- le LDL si formano nel fegato e trasportano i lipidi (colesterolo e trigliceridi in primis) ai tessuti e ai vari distretti dell’organismo, per la sintesi di membrane cellulari, vitamine ed ormoni steroidei.
Le funzioni svolte dalle due macro tipologie di lipoproteine (HDL e LDL), così come l’equilibrio tra le differenti azioni svolte, sono fondamentali per l’organismo umano. Di seguito, altre peculiarità da evidenziare in merito al colesterolo:
- quello prodotto all’interno del nostro organismo, in particolare dal fegato, (colesterolo endogeno) rappresenta circa il 70-80% del totale, mentre l’esigua parte restante (circa il 20-30%) proviene dall’esterno tramite l’alimentazione (colesterolo esogeno);
- il colesterolo di origine alimentare viene assorbito ed entra in circolo solo in parte (circa il 50%), mentre la restante viene eliminata;
- le due porzioni di colesterolo, endogena ed esogena, sono collegate tra loro da un complesso meccanismo di autoregolazione attraverso il quale il nostro organismo è perfettamente (e “sapientemente”) in grado di modulare la produzione di colesterolo endogeno sulla base di quanto ne viene introdotto dall’esterno con l’alimentazione, al fine di mantenerne inalterati i livelli.
Partendo da questi dati semplici ed inequivocabili, si può arrivare ad una prima constatazione: non è sicuramente il solo colesterolo e, in particolare, quello alimentare, ad avere il ruolo di protagonista esclusivo in ambito di salute cardiovascolare.
Così come l’approccio clinico che mira esclusivamente ad abbassare il valore del colesterolo totale, in primis attraverso l’impiego di una delle categorie di farmaci più venduti al mondo, ovvero, le statine, non sembra essere la strategia più appropriata, se non si prendono in debita considerazione molti altri fattori, anche più importanti del semplice valore di colesterolo totale.
A conferma di quanto sopra, i recenti dati statistici indicano che in Italia le malattie cardiovascolari sono ancora la principale causa di morte, con un trend in crescita malgrado l’uso sempre più esteso di questi farmaci.
Oggi sempre più evidenze scientifiche confermano che il colesterolo è solo indirettamente responsabile della formazione della placca aterogena; a monte di questa, infatti, c’è da prendere in considerazione una serie di fattori che solo in minima parte (20-30%) dipendono dalla genetica, mentre per la gran parte sono legati a stile di vita, gestione dello stress e alimentazione in primis, a cui possiamo e dobbiamo dare una giusta attenzione e un corretto indirizzo.
Grazie anche all’evoluzione della ricerca scientifica e delle tecniche diagnostiche, si è potuto revisionare la tesi secondo la quale ad alti valori di colesterolo totale si era soliti associare un maggior rischio cardiovascolare: una meta-analisi del 2023 ha rilevato come sia poco evidente la correlazione tra colesterolo totale e infarti miocardici, così come è poco evidente, in termini di salute cardiovascolare, il beneficio derivante da una sua riduzione [1].
Si è partiti, come già visto, da una sommaria e semplicistica distinzione tra colesterolo buono (HDL) e cattivo (LDL), che oltre ad essere assai riduttiva è anche erronea: come abbiamo visto, infatti, il colesterolo è sempre lo stesso, sono le lipoproteine che lo trasportano ad essere diverse. Di fatto, non c’è alcuna evidenza scientifica che ad alti valori di LDL corrisponda in assoluto qualcosa di cattivo o nocivo: come detto sopra, le LDL svolgono, anzi, una funzione vitale, trasportando il colesterolo alle cellule dei diversi organi e, solo in determinate condizioni, possono eventualmente depositarlo dove non dovrebbero, ovvero nelle pareti arteriose, contribuendo così alla formazione della placca aterosclerotica.
Con il passare del tempo, quindi, è apparso sempre più evidente come solo una parte delle malattie cardiovascolari possa essere attribuita ai fattori di rischio classici (eccesso di LDL, e trigliceridi).
Le ultime ricerche, infatti, hanno rivelato un’assenza di correlazione tra valori di LDL e mortalità negli individui sopra i 60 anni [2][3], evidenziando altresì il ruolo svolto dalle LDL quali fattori protettivi contro i lipopolisaccaridi e altri derivati microbici [4], per cui si è resa necessaria un’ulteriore distinzione: neanche il valore delle LDL, infatti, è di per sé predittivo del rischio di cardiopatia ischemica, in quanto risulta di fondamentale importanza valutarne la frazione ossidata, quella più pericolosa. Le LDL ossidate si sono dimostrate lipoproteine che hanno subito un danno chimico da parte dei radicali liberi, diventando il principale innesco del processo che porta all'aterosclerosi.
[Image of atherosclerosis formation mechanism]Da molti anni è noto che lo stress ossidativo, in particolare l’ossidazione delle LDL, può influenzare lo sviluppo della malattia aterosclerotica [5][6]. Analizzando in dettaglio le lipoproteine LDL, poi, vediamo che possono essere di diversi tipi, poiché nel viaggio attraverso il flusso sanguigno, via via che depositano i vari lipidi trasportati, cambiano dimensione e densità: dalle iniziali VLDL, lipoproteine a bassissima densità, di dimensioni maggiori, si passa attraverso le IDL (a densità intermedia) per arrivare alle LDL (a bassa densità); tra queste, quelle più piccole e con maggiore densità, le LDL piccole e dense (small dense LDL - sd-LDL) [7][8] che rappresentano quelle più potenzialmente aterogene, in quanto si ossidano più facilmente creando le suddette LDL ossidate. Dalle ultime ricerche sta emergendo l’utilità di valutare proprio quest’ultima frazione, poiché tendono più facilmente a legarsi alle pareti delle arterie, innescando la formazione della placca. Le sd-LDL, infatti, sono particelle altamente aterogene a causa sia di una maggiore capacità di penetrazione nella parete arteriosa che di un’emivita in circolo più prolungata con conseguente maggior esposizione ai radicali liberi, il che le rende, quindi, la frazione di LDL più facilmente ossidabili [7-11].
La trasformazione di LDL in sd-LDL avviene spesso in presenza di un eccesso di trigliceridi nel sangue, causato a sua volta da un’alimentazione particolarmente ricca di cibi iperinsulinogenici.
Altra caratteristica importante delle LDL è che il fegato, durante la fase di assemblaggio dei lipidi (colesterolo e trigliceridi) all’interno delle VLDL iniziali, associa ad ogni lipoproteina una particolare proteina chiamata Apolipoproteina B (Apo-B), che rimarrà costante anche nelle varie trasformazioni (IDL, LDL). Allo stesso modo, anche le HDL sono dotate ciascuna di una proteina tipica, definita Apoproteina A1 (Apo-A1).
Nella pratica clinica viene comunemente utilizzato il rapporto tra colesterolo LDL e colesterolo HDL che ci dà un’indicazione di massima sul quantitativo di colesterolo trasportato rispetto a quello rimosso: maggiore è il valore, maggiore sarà la probabilità di un accumulo indesiderato di colesterolo, poiché quello circolante è superiore a quello rimosso.
A questo dato solo parzialmente utile, si affiancano sempre più spesso i dosaggi delle LDL ossidate o delle LDL piccole dense, veri indicatori del rischio aterogeno ed altri valori che arricchiscono il semplice dato quantitativo di colesterolo presente (trasportato e rimosso) con altre preziose informazioni:
- rapporto ApoB/ApoA1;
- rapporto LDL/ApoB.
Grazie al primo valore, si riesce ad avere contezza del rapporto tra il numero di apolipoproteine B (tipiche delle LDL che trasportano il colesterolo) e quello delle apolipoproteine A1 (tipiche delle HDL che rimuovono il colesterolo in eccesso).
Con il secondo parametro, scopriamo ancora di più sulla “qualità” delle LDL: quando il valore è alto, vuol dire che un grande quantitativo di colesterolo è trasportato da poche LDL (verosimilmente più grandi e meno dense); se invece, a parità di quantitativo di colesterolo trasportato (LDL), il numero di ApoB è maggiore, il rapporto è più basso e ciò equivale a dire che lo stesso quantitativo è trasportato da molte più particelle LDL che saranno in buona parte piccole e dense.
Per quanto riguarda questo ultimo rapporto, pertanto, il rischio vascolare sarà inversamente proporzionale al valore ricavato.
Questi fattori di rischio più specifici (LDL ossidate, sd-LDL in primis), rapporto ApoB/ApoA1, rapporto LDL/ApoB) sembrano predire meglio e più precocemente il rischio di malattie cardiovascolari. Proprio le sd-LDL, in particolare, costituiscono uno degli indicatori più sensibili, in quanto vi è una evidente correlazione tra l’aumento di concentrazione di sd-LDL e l’aumento delle LDL ossidate e, a sua volta, con l’aumento del rischio di malattia vascolare coronarica.
Ad una accurata valutazione dell’assetto lipidico completo è di grande utilità affiancare ulteriori analisi, tra cui, in particolare, quelle relative ai biomarcatori dello stress ossidativo, d-ROMs in primis, ai valori di omocisteina e trigliceridi; al rapporto Trigliceridi/HDL e all’Homa Index (che mette a confronto glicemia e insulina a digiuno) per verificare il livello di insulino-resistenza.
Per una migliore e più approfondita valutazione del rischio, quindi è opportuno sottoporsi a test più specifici, in aggiunta agli esami ematochimici “classici”, presso laboratori altamente specializzati, in grado di misurare i valori di questi importanti indicatori per consentire al medico di delineare un profilo adeguatamente accurato del paziente.
Partendo dalle recenti evidenze scientifiche che confermano l’importanza dello stress ossidativo (eccesso di radicali liberi) e dell’infiammazione cronica silente nella malattia cardio-cerebro-vascolare, ne è seguita una sempre maggiore attenzione verso la disfunzione endoteliale, ovvero verso la compromissione della funzionalità di quel sottile strato che riveste arterie e vene ed è a contatto diretto con la circolazione ematica, detto appunto endotelio.
Il funzionamento di questo organo è tanto complesso quanto mirabile nella sua perfezione: tra le altre cose, determina il restringimento o la dilatazione del vaso sanguigno, controlla la coagulazione del sangue e costituisce una sorta di rivestimento “antiaderente” che impedisce la formazione dei coaguli.
Quando l’endotelio comincia a non funzionare più in maniera corretta a causa di uno stato infiammatorio cronico, il sangue non scorre più su una superficie “lubrificata” ed alcuni corpuscoli (tra cui le LDL piccole e dense/ossidate) vengono attirati sulla superficie endoteliale a causa di anomalie nella permeabilità dell’endotelio; i macrofagi, attivati dal sistema immunitario, cominciano a fagocitare queste particelle specifiche di LDL che sono penetrate nell’endotelio, formando le cosiddette “cellule schiumose” alla base del processo di aterosclerosi.
Da questa sintetica descrizione di eventi concatenati, che possono avvenire contemporaneamente o in tempi diversi, e che solo per semplicità si schematizzano come sequenza, comprendiamo che le dinamiche in gioco sono molto più complesse di un semplice “accumulo” di lipidi (con il paragone classico dell’accumulo di calcare in un tubo), poiché la disfunzione endoteliale innesca una lunga serie di eventi che lentamente porteranno negli anni alla formazione della placca aterosclerotica; si parla, in genere, di decine di anni, per cui la buona notizia è che possiamo intervenire in tempo ma, per quanto detto sopra, non limitandoci a ridurre il colesterolo totale circolante, ma intervenendo su ambiti più complessi.
Per prevenire, infatti, le malattie cardio-cerebro-vascolari si deve intervenire in primis su infiammazione cronica silente e stress ossidativo e, pertanto, è di fondamentale importanza:
- avere una dieta varia ed equilibrata, che preveda un basso consumo di carboidrati (pasta, pane, pizza, patate, riso), zuccheri e cibi industriali ultra processati, bevande zuccherate e che privilegi il consumo di frutta poco zuccherina, verdura, grassi “buoni” (olio extravergine di oliva, olio di cocco, burro ghee o chiarificato, frutta secca tipo anacardi e noci), con le giuste quantità di carne, pesce (soprattutto pesce azzurro e di piccola taglia), formaggio e uova;
- svolgere un’attività fisica regolare, commisurata all’età, che preveda lo svolgimento di esercizi soprattutto di tipo aerobico, con un aumento della frequenza cardiaca per un periodo di tempo prolungato (corsa, ciclismo e nuoto);
- evitare o limitare al massimo fumo ed alcool da perché dannosi per la salute cardiovascolare;
- aver cura della qualità del sonno, poiché è di fondamentale importanza un sonno ristoratore, per durata e qualità, che consente al nostro organismo di attuare una serie di azioni vitali, contrastando adeguatamente l'insonnia intesa sia come difficoltà ad addormentarsi che come fastidiosi risvegli notturni.
- migliorare la propria gestione dello stress (quindi la propria resilienza psico-fisica).
A tali fondamentali metodi naturali, basilari per un cuore in salute e una vita sana e longeva, la nutraceutica più avanzata può offrire dei prodotti a base di principi attivi naturali in grado di interagire con i fattori di rischio più importanti sopra analizzati (i lipidi circolanti ossidati e il processo infiammatorio). Tra questi, sicuramente l’EONLIPID rappresenta uno dei prodotti più efficaci presenti sul mercato: a base di 8 principi attivi che lavorano in sinergia nell’azione di contrasto ai radicali liberi e di controllo lipidico e glucidico.
Riferimenti bibliografici
- Ennezat P.V. er al. – Extent of Low-density Lipoprotein cholesterol reduction and all-cause and cardiovascular mortality benefit: a systematic review and meta-analysis. J Cardiovasc Pharmacol. 2023 Jan1; 81(1):35-44 ↑ Torna al testo
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- Fusco A. - Battiti di verità sul colesterolo e sull’infarto del miocardio. La TracciaBuona Edizioni
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